A poco meno di un anno dall’approvazione della legge sullo Smart Working, la n.81/2017, l’Italia si scopre un terreno fertile, seppur ancora embrionale, per far praticare ai dipendenti il cosiddetto lavoro agile. Si tratta di una modalità di prestazione professionale regolamentata da norme analoghe a quelle che sovrintendono al corretto svolgimento dell’impiego all’interno dell’ufficio. L’impresa che consenta ai dipendenti di diventare smart worker deve garantire loro diverse possibilità: in primo luogo, il lavoratore che utilizzi questa modalità di prestazione deve poter avere accesso ai dati che gli servono in mobilità, deve cioè essere dotato di device avanzati che consentano di operare come se si fosse in ufficio; in secondo luogo, una particolare attenzione viene garantita alla sicurezza, che deve essere tutelata anche se non si è all’interno delle mura aziendali.
Infine, affinché lo smart working non si trasformi in una costante connessione (e disponibilità) al lavoro, esso viene regolato sulla base di una giornata lavorativa di 8 ore – esattamente come avviene quando si svolge la propria opera professionale in maniera tradizionale – ma senza vincoli di orario.
I numeri degli smart worker
Secondo l’ultima indagine dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, in Italia ci sono 305mila lavoratori “agili”, in aumento del 14% rispetto al 2016 e del 60% rispetto al 2013. Tra le caratteristiche di questi lavoratori di nuova concezione, la maggiore soddisfazione per il proprio impiego, perché garantisce maggiore flessibilità e migliore padronanza delle competenze digitali. Un aumento degli smart worker si traduce in un incremento della produttività pari al 15% per persona, ovvero in 13,7 miliardi di euro di benefici per l’intero sistema paese.
La forza dello smart working sta nel fatto di essere sostanzialmente trasversale alle diverse industry. Uno sviluppatore e un giornalista, un ingegnere e un avvocato possono tutti svolgere le proprie mansioni tramite “lavoro agile”, ovvero avendo a disposizione quei device che permettono di avere accesso alle informazioni anche da remoto.
Le nuove necessità
Garantire ai propri dipendenti la possibilità di lavorare in qualsiasi luogo si traduce per l’azienda nella necessità di procedere a una modernizzazione della propria infrastruttura di rete, che deve essere accessibile da remoto, e, come detto, nella contestuale fornitura ai propri dipendenti di device tecnologicamente più avanzati per poter operare in modo più efficace, indipendentemente dal posto in cui ci si trova. Da questo punto di vista, infatti, alcune aziende hanno deciso di dotare tutti i propri dipendenti di laptop e computer portatili, “pensionando” i tradizionali desktop che costringono a lavorare ancorati a una specifica postazione.
Dal punto di vista del dipendente, i vantaggi sono molteplici: da un lato, la possibilità di svolgere la propria mansione da casa, gestendo il proprio tempo in maniera più agile e più libera. Dall’altro, un minore impatto ambientale: secondo un recente studio, infatti, un solo giorno di remote working alla settimana può far risparmiare a un singolo lavoratore oltre 40 ore all’anno di spostamenti, diminuendo la produzione di anidride carbonica nell’aria nell’ordine di 135 kg ogni dodici mesi.
L’indagine della School of Management del Politecnico certifica la piena soddisfazione degli smart worker: il 50% è pienamente soddisfatto delle modalità di organizzare il proprio lavoro (contro il 22% dei dipendenti “tradizionali”), il 34% ha un buon rapporto con i colleghi e con i propri superiori, un dato più che doppio rispetto a quanto avviene per i lavoratori che non offrono la propria prestazione professionale attraverso lo smart working.
Funziona o non funziona?
Se lo smart worker sia davvero un lavoratore che produce di più e meglio o se invece sia soltanto un dipendente che vede aumentare a dismisura il proprio carico di lavoro, oltretutto vedendo venir meno le tradizionali dinamiche interpersonali che si sviluppano in un ufficio è un discorso che ancora non ha una risposta definitiva. Prima di tutto perché, essendo stata introdotta una normativa solo da poco tempo, non si hanno ancora risultati sul miglioramento effettivo della produttività. In secondo luogo perché secondo alcune grandi aziende – come Ibm USA – i dipendenti, per essere veramente efficienti, necessitano di lavorare in una location creativa da cui poter trarre la giusta ispirazione. Ma molte altre grandi aziende, da Siemens a FCA, da Microsoft a Prysmian, stanno invece puntando forte sullo smart working, cercando di offrire ai propri dipendenti una maggiore flessibilità, come garanzia di un maggiore “commitment” nei confronti dell’impresa.
Concludendo: è evidente che sia ancora troppo presto per poter emettere qualsiasi giudizio nei confronti dello smart working. Quello che è certo è che in futuro, nel nostro paese, si assisterà a un progressivo aumento del numero di persone coinvolte dalle diverse forme di lavoro agile. Un giudizio di merito si potrà ottenere solo quando il trend sarà ormai definitivamente consolidato. Così come sembra prematuro emettere una sentenza sull’effettiva efficacia.