12,6 miliardi. È il numero di email inviate nel 2017, secondo il rapporto di MailUp presentato lo scorso 20 settembre, tramite il sistema di invio automatico delle mail. Lo studio offre una panoramica completa sull’andamento dell’email marketing, e permette di cercare di arrivare ad alcune conclusioni sui comportamenti di chi invia mail per motivi commerciali e di chi le riceve. Si tratta di un numero sostanzialmente invariato rispetto al dato del 2016, ma che mostra una crescita delle aperture totali delle mail nell’ordine del 3,6%. Questa informazione prima di tutto dimostra un miglioramento delle strategie di digital marketing dove, a fronte di una percentuale di invii sostanzialmente in continuità, si cementa la relazione tra emittente e ricevente. È bene però ricordare che l’apertura di una mail di marketing non significa automaticamente un clic sul link o sul post. Questa call to action ulteriore, come vedremo, resta ancora una grande sfida.
Nuove pratiche di profilazione
Quello che appare chiaro dai dati è che è migliorata la capacità di individuare target recettivi all’email marketing. A questo scopo, un ruolo fondamentale viene giocato dai social network, che consentono di migliorare la relazione con la possibile utenza, ma anche dai siti web più responsive e quindi fruibili anche da mobile. Mentre i primi, infatti, permettono di conoscere in maniera più chiara le abitudini e gli interessi degli utenti, i secondi consentono di migliorare l’offerta alla potenziale clientela che, sempre più spesso, utilizza dispositivi mobile per connettersi a internet. La campagna di email marketing, indipendentemente dal pubblico di riferimento, diviene quindi più efficace sia per quanto concerne il B2B, sia per quanto riguarda il B2C. In particolare, il tasso di apertura delle email inviate a una potenziale clientela business passa da un 26% al 27,3%, mentre quelle rivolte al pubblico consumer vengono aperte nel 17% dei casi, con un incremento di un punto percentuale.
Newsletter, DEM e email transazionali: i numeri
Lo strumento di elezione per inviare email sono le newsletter che, inviate periodicamente, consentono ai potenziali clienti di conoscere lo sviluppo del brand o dell’azienda con cadenza fissa. Lo scorso anno circa 8,5 miliardi di email sono state inviate attraverso questo strumento, con la parte B2C che, da sola, vale oltre 5 miliardi. Anche le DEM (direct email marketing) trovano uno spazio significativo: si tratta di campagne di direct email che vengono studiate appositamente per un evento o un’offerta specifica. In questo caso, sono poco meno di 4 miliardi le mail inviate, ancora una volta con il segmento b2c che vale, da solo, oltre la metà del totale.
Ecco il dettaglio del rapporto MailUp con il numero di email inviate, comprese le email transazionali, ovvero quelle legate a una specifica transazione (conferma dell’ordine, tracking dei prodotti, sottoscrizione di un abbonamento ecc).
I clic
Le note positive relative all’incremento delle aperture delle mail – che quindi non vengono automaticamente cestinate appena ricevute nel programma di lettura della posta – si trasformano però in criticità quando si tratta di portare all’azione cliccando: in questo caso, infatti, assistiamo addirittura a un calo (seppur di decimi percentuali) rispetto al 2016. Soffermandosi sulle DEM, ad esempio, si vede come il numero di clic nel B2B sia passato dal 2 all’1,8%, una differenza che si amplia (dal 2 all’1,6%) se si prende in considerazione il B2C. Questo significa che le aziende non sono ancora in grado di coinvolgere a tal punto la platea da convincerla a convertire l’attenzione in un’azione precisa. I motivi possono essere i più disparati, come vedremo tra poco. Contenuti poco salienti e interessanti, scarsa leggibilità della newsletter o della DEM, errata profilazione. Per quanto riguarda le newsletter, invece, si registra un incremento dei clic nella parte del B2B (da 3 a 3,3%), ma un calo nella componente B2C dal 3 al 2,3%.
I settori con i risultati migliori (e peggiori)
Lo studio condotto da MailUp mostra come, a seconda che si consideri il B2B o il B2C, cambia radicalmente il comportamento dell’audience in relazione ai comparti di riferimento. Nel B2B, ad esempio, le associazioni e le organizzazioni politiche, insieme alla GDO, ottengono i migliori risultati in materia di apertura, mentre sul versante dei clic eccellono agricoltura/alimentare e automotive, rispettivamente con il 9 e l’8%. Allo stesso tempo, formazione e lavoro è il settore che fa registrare le peggiori performance sia in termini di apertura (15%) sia per quanto concerne i clic (1%). Sul versante B2B, molto bene l’industria (67% di apertura e 11% di clic) e gli enti pubblici (55% di aperture), mentre va male il comparto dell’hobby e del tempo libero che fa registrare le peggiori performance sia per quanto riguarda le aperture (7%) sia per quanto concerne i clic (1%).
Le best practice per le aziende
L’open rate non è la sola metrica su cui lavorare per migliorare il ROI, in termini di business, per le aziende che decidono di utilizzare questo canale. Questo per una serie di motivi: in primo luogo, la scarsa conversione può essere generata da una mail che non è particolarmente accattivante sia per quanto concerne l’aspetto grafico, sia per quello che riguarda i contenuti. Secondo uno studio realizzato da Microsoft, l’occhio umano impiega 8 secondi per stabilire se un oggetto online è degno, o meno, della nostra attenzione e, soprattutto, dei nostri clic. Siamo più lenti di un software, sicuramente, ma lo spazio di manovra per catturare l’attenzione è molto ridotto. Ordine e pulizia del testo possono contribuire a rendere chiaro fin da subito l’oggetto dell’invio. Anche i colori, se posizionati in maniera corretta, possono offrire un aiuto insperato. Dal punto di vista semantico e linguistico, i termini vanno scelti in funzione del target; inoltre è consigliabile limitare il numero di azioni richieste l’utente per non disperderne l’attenzione. Un altro modo per migliorare l’efficacia delle mail è quello di inserire degli esempi pratici: Facebook e altri social network lo utilizzano spesso per convincerci a cliccare su un contenuto sponsorizzato. La dicitura “A XY e ad altri amici piace questa pagina” fa automaticamente sentire parte integrante di una comunità e spinge all’azione. Allo stesso modo, impiegare case study facilmente riconoscibili contribuisce a dare maggiore “peso” alla nostra email. E in questo modo posso sperare di convertire l’apertura della mail in un clic. La domanda fondamentale a cui rispondere è: “Perché un utente dovrebbe cliccare sul mio contenuto?”. Serve una risposta forte, altrimenti diviene davvero difficile riuscire a catturare i potenziali utenti.
Il GDPR
Dopo la rivoluzione causata dall’entrata in vigore della nuova privacy policy europea, per cui si possono continuare a inviare mail esclusivamente a chi ha dato preciso assenso per le newsletter e i contenuti commerciali, il 2018 si rivela l’anno di svolta per l’automazione degli invii massivi di comunicazioni email. Il GDPR, infatti, costringe le aziende a cambiare il proprio approccio da quantitativo (invio massiccio a chiunque, nella speranza di generare una qualche conversione) a qualitativo, in cui il brand si impegna a realizzare comunicazioni particolarmente efficaci per un pubblico che ha deciso volontariamente di ricevere materiale informativo. L’opportunità è quella di coltivare nel tempo le relazioni con i destinatari che hanno accettato di ricevere le comunicazioni, provando a rinnovare ed aumentare il numero di consensi espressi. Questa serie di attività, che rientra nell’ambito del lead nurturing, può consentire di limitare l’impatto del GDPR e – anzi – rivelarsi una vera e propria ricchezza nascosta.
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